lunedì 25 gennaio 2021

Seminario "Con gli occhi di un altro - Fotografie e storie personali"


Oggi voglio raccontarvi un'esperienza molto stimolante: Sabato 23 Gennaio tutta la classe aveva la possibilità di seguire, in modo individuale, una serie di seminari (6 per la precisone) tenutisi presso la sede dello IUSVE a Mestre e trasmessi online prima con una sessione plenaria su YouTube e poi con workshop su Zoom, che vertevano su un macro-tema comune chiamato "notifica di cambiamento, l'evento sulla comunicazione sociale", volto al racconto dell'integrazione sociale e alla promozione di una situazione di pace tramite l'uso di diversi media. Io ho scelto il seminario/workshop sulla fotografia: "con gli occhi di un altro - Fotografie e storie personali".
Gli insegnanti ci hanno proposto i diversi workshop per prendere parte ad un'attività di educazione civica, ed io ho scelto di iscrivermi proprio a quello sulla fotografia in quanto volevo approfondirne il suo utilizzo pratico e come quest'ultima sia un mezzo in grado di raccontare storie fantastiche. Da subito su YouTube ci è stato spiegato che questo evento è la conclusione di un progetto iniziato nel 2019 dove lo IUSVE ha lavorato insieme ad Emergency un'associazione umanitaria italiana, ISMU e la casa editrice Tunuè sui temi della migrazione, della multiculturalità e della convivenza.
La sessione plenaria su Youtube è poi proseguita con un chiaro ripudio alla guerra, nel tentativo di creare una società inclusiva e rispettosa dei diritti altrui. A sottolineare questi argomenti in questa prima fase Laura Silvia Battaglia, una giornalista documentarista specializzata in medio oriente e nelle zone di conflitto. Ha raccontato storie vissute in prima persona, ma una in particolare mi ha colpito: quella su Tamam. Tamam è un giornalista, la sua ossessione è "l'uranio impoverito", che gli ha fatto perdere tanti compagni e amici a causa della Leucemia. Lui voleva saperne di più, così intercetta testimonianze giornalistiche sull'inquinamento nucleare in Iraq. Si comprò una telecamera e iniziò a filmare, cominciò a conoscere nuove fonti fino ad arrivare a scoprire che la morte per leucemia in Iraq tra i bambini è del 90%. A questo punto diventa una fonte scomoda e i furti in casa sua non si fecero attendere, ma nonostante ciò riuscì a salvare una copia di quanto reperito che verrà, in seguito ad un intercettazione dello stesso Tamam, fornita ad Emergency.
Ha poi parlato Rossella Miccio, presidente di Emergency: un'organizzazione indipendente per le vittime della guerra e della povertà, che ha sottolineato l'impegno da parte della stessa fondazione di aiutare le persone come Tamam e i suoi amici e di fargli capire che ci consideriamo tutti uguali per dignità e diritti, dunque c'è la possibilità di una nuova vita, che ripudi la guerra, la quale è sempre una scelta e mai una priorità.
Infine ha interagito con noi anche Emanuele di Giorgi della casa editrice Tunuè che ha ideato insieme ad emergency un bando di concorso per le scuole. È stato permesso a dei ragazzi di raccontare liberamente tre momenti salienti del grande viaggio di immigrazioni che spesso si deve affrontare a causa dei conflitti e una volta scelti gli elaborati sono stati prodotti da un project leader e realizzati per il disegno da importantissimi autori. "I colori di una nuova vita" è un libro che riassume il lavoro fatto in questa collaborazione tra la casa editrice e l'associazione.
Siamo successivamente entrati nel seminario al quale ci eravamo iscritti, all'interno del quale ho avuto modo di ascoltare Simone Cerio, un fotografo documentarista specializzato in visual journalism, vincitore di diversi premi dal 2014 al 2019.
Quest'ultimo ci ha mostrato alcuni dei suoi lavori fotografici, anche in collaborazione con Emergency come "when the others go away", un servizio realizzato a Kabul, che è stata un'esperienza umana forte per Simone il quale si è trovato a fotografare nell'ospedale vittime di guerra. Il suo lavoro più recente realizzato nel 2020 è stato "The Passage", in cui vi sono gli scatti che narrano come la comunità cattolica ha reagito alla chiusura delle chiese e dei luoghi di culto durante la pandemia da COVID-19. Una tra queste foto è stata inoltre selezionata come copertina per il giornale L'Espresso nel numero del 12 Aprile 2020. Come lui stesso afferma, i temi trattati nei suoi lavori sono circoscritti in una nicchia ma sono fortemente in grado di emozionare, questi sono: l'identità intesa mediante il "dove" l'essere umano si assomiglia, la spiritualità/fede e le relazioni.
Abbiamo poi cambiato interlocutore: Mamadou Kouassi, che ci ha portato una testimonianza molto forte riguardante le immigrazioni. Mamadou viene dalla Costa d'Avorio, ha 37 anni ed è arrivato 12 anni fa in Italia. È fuggito dal suo paese a causa della guerra e per arrivare in Italia ha impiegato 3 anni, passando per la Libia (un paese molto razzista), svolgendo svariati lavori, viaggiato nel deserto e vedendo morire persone durante la traversata.
Una volta raggiunta l'Italia lavorava dove gliene davano la possibilità, in quanto non era in possesso del permesso di soggiorno (ottenuto solo nel 2011 per motivi umanitari) e quindi era legalmente privo di diritti. Si appassiona però al tema dell'immigrazione grazie ad una manifestazione e desidera dare una dignità a coloro che ne hanno diritto, diventando di fatto un attivista. Partecipa a molte manifestazioni spostandosi da paese in paese chiedendo principalmente due cose: che gli immigrati possano tutti andare a scuola senza eccezioni oltre alla possibilità di avere un lavoro che garantisca di vivere. L'interazione è molto importante, ma anche la condivisione, che permette di portare importanti testimonianze come quella di Mamamdou. Per lui questo progetto è stato davvero importante, un'opportunità per mettere in luce gli svariati problemi sulle condizioni degli immigrati in Italia.
"Per arrivare in Italia ci ho impiegato 3 anni, un Italiano per andare in Costa d'Avorio ci impiega un giorno" Mamadou con questa frase dichiara come la piaga del razzismo deve essere curata insieme, in modo che tutti possano godere degli stessi diritti umanitari e siano liberi di fare delle scelte.

Per realizzare questo post ho consultato queste fonti:
- Appunti presi all'evento

Tra gli interventi quello che ho apprezzato maggiormente, oltre alla testimonianza di Mamadou è stato quello di Simone Cerio che ha affermato che la fotografia è "lo spazio tra di noi" e per sapersi distinguere occorre produrre un'idea che porterà alla creazione di concetti. Prendendo ad esempio il suo stesso servizio realizzato a Kabul spiega come la fotografia non deve essere un mezzo con cui mostrare banalmente il dolore, ma deve altresì creare necessità e urgenza per permettere alle persone di vedere e informarsi su quella determinata storia. In questo lavoro, spiega Simone, è fondamentale lavorare in team per tenersi costantemente attivi ed in confronto con realtà diverse, delle quali bisogna tradurne le complessità con aspetto critico. È qui che avviene il passaggio da macro-tema a micro-tema ovvero la creazione di storie piccole all'interno delle quali identificarsi.


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